Samurai e Uchigatana
Le foto “samurai o Uchigatana (katana)”
Da giovane ho avuto il piacere di avvicinarmi all’Aikido, grazie soprattutto al carisma del maestro Pasquale Aiello.
Come in ogni forma d’arte, filosofia, religione, esistono varie scuole di pensiero più o meno distanti dall’originale, per l’aikido la sorte non è stata diversa.
Però secondo me il maestro Aiello, a differenza anche di alcuni suoi stessi allievi, aveva centrato e accolto in pieno la filosofia “pacifista” del fondatore Morihei Ueshiba, tanto da insistere su l’aikido come “yoga in movimento” .
Quando il discorso cadeva sulle uchigatana, o katana che dir si voglia, vi era una prudenza massima, questa è uno strumento non solo da guerra, ma oggi è soprattutto un esercizio spirituale e di crescita interiore sia nella versione in legno (bokken), che con quella vera.
“Quando la mano è armata bisogna pensare che non lo sia, quando è nuda bisogna pensare che è armata” che sia una uchigatana, oppure una penna,” e tranne per la pulizia, e manutenzione della lama, non bisogna mai estrarla dal fodero, stessa cosa per la scrittura, non impugnare la penna, se non hai dolcezza nel cuore e pulizia di pensiero, ciò che scrivi deve essere positivo, propositivo, deve essere buono, deve essere luce.
Personalmente ho portato con me questa filosofia nel modo di fotografare, cercando la luce, anche se dietro rami spogli, cercarla nei riflessi rossi del tramonto. Nel gioco tra luci ed ombre mentre il sole si spegne sulle pareti rocciose, lo zoom poi mi da modo di tagliare il superfluo, e di concentrare l’attenzione sul soggetto. L’escludere non è un ignorare, ma un sapersi concentrare sul bersaglio come si fa con il tiro con l’arco.
Viaggiando insieme a Velia poi, mi amplifica i sensi, lei un bel giorno ha deciso di diventare la mia maestra, io e lei possiamo essere definiti “quelli delle dita” ognuno di Noi indica all’altro/a quel soggetto, quel gabbiano, gatto, poiana, quell’onda più spumosa, l’orizzonte, il fiore, e chi cosa gioca a nascondino dietro rami e fiori, la profondità più o meno limpida del mare, e il lampione samurai posto lungo la strada, il sole che ammanta d’oro e d’argento, ecc ecc…. Viaggiare insomma è (anche) un esercizio zen, è un ridere di Noi stessi, (con Velia si ride molto) sul troppo tempo che impieghiamo per fare quei 15, 20 km a piedi, e su come a volte non riusciamo ad arrivare ai 30 che ci eravamo prefissati, ma va così l’importante è il viaggio. Non sempre la meta, la distanza che separa le nostre dita dalla luna e da tutto ciò che ci colpisce. E come dei Gemon, sfoderiamo le katane dei sensi e tagliamo le distanze, avvicinandoci rispettosi a ciò che si presenta ai nostri occhi, dopo ci inchiniamo, e grati proseguiamo per la nostra strada, perché in fondo l’importante è il durante tra luna e dita, anche se siamo tenacemente lenti.
Enzo De Lucia
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